Il Dolore…questo sconosciuto!

Il dolore è uno dei maggiori disturbi a livello di sanità pubblica mondiale e, sebbene il “non soffrire” sarebbe un diritto, il dolore è di sovente non adeguatamente inquadrato e trattato, nonostante la Legge 38/2010 inerente le cure palliative e la terapia del dolore. In Italia si stima che il 25% della popolazione soffre di dolori cronici. A livello clinico, il dolore è uno dei sintomi più manifestati, sicuramente il più comune e il più studiato, ma ad oggi per molti terapisti e professionisti resta ancora un enigma da risolvere. In questo articolo vi condurrò verso l’analisi del dolore, non da un punto di vista puramente medico, bensì da una visione psiconeuroscientifica (personale e personalizzata).

 

Cos’è il dolore?

La IASP (International Association for the Study of Pain – 1986) definisce il dolore come “un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno. E’ un esperienza individuale e soggettiva, a cui convergono componenti puramente sensoriali (nocicezione) relative al trasferimento dello stimolo doloroso dalla periferia alle strutture centrali, e componenti esperenziali e affettive, che modulano in maniera importante quanto percepito”. A livello clinico, il dolore è un sintomo trasversale e frequente: spesso segnale importante per la diagnosi iniziale di malattia, fattore sensibile nell’indicarne evoluzioni positive o negative durante il decorso, innegabile presenza in corso di molteplici procedure diagnostiche e/o terapeutiche e costante riflesso di paura e ansia per tutto quello che la malattia comporta. E’ fra tutti il sintomo che più mina l’integrità fisica e psichica del paziente e più angoscia e preoccupa i suoi familiari, con un notevole impatto sulla qualità della vita.

 

Il dolore come sintomo

Alzi la mano chi non abbia mai provato almeno una volta nella vita quella strana e spiacevole sensazione, chiamata dolore! Qualche lettore potrebbe giustamente far notare che coesistono diversi tipi di dolori, non solo acuti e cronici, ma anche fisici ed emozionali.

Assolutamente corretto! Ed è altrettanto vero come a volte sia difficile per il soggetto descrivere a parole le proprie sofferenze. In quei frangenti, resi tangibili durante la più classica raccolta anmnestica medica, si palesano tutti i limiti legati alla comunicazione verbale. Il medico o il terapista comprendono soltanto per analogia ciò che il soggetto sta cercando di trasmettere e raccontare.

Il dolore è un’esperienza soggettiva, privata, intima, appartenente solamente alla persona che ne fa esperienza diretta. Uno degli aspetti più importanti da considerare è dato dal fatto che il sintomo dolorifico (o doloroso) innesca nel soggetto una condizione di ansia e allerta. Tale stato è ben conosciuto ai nostri colleghi inglesi, i quali hanno perfettamente coniato il termine “Fight or Flight” (tradotto in italiano in “Combatti o fuggi“), che indica come lo stato di allerta, attivato da stimoli esterni ed interni, determini un’attivazione del sistema nervoso ortosimpatico, per essere pronti ad una situazione di fuga o combattimento. Il soggetto che manifesta un dolore, qualunque esso sia, di qualsivoglia intensità e caratteristica, ha un’alterazione della percezione cosciente di sè.

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“Essere paziente”

Rendersi conto di ciò che sta accadendo dentro di noi è il primo passo verso la consapevolizzazione che vi è una necessità di agire e rivolgersi a qualcuno che possa correre in nostro soccorso. Riconoscere la comparsa ed il persistere di segni e sintomi ci limita e ci condiziona nella vita quotidiana. Ed ecco come il nostro cervello inneschi meccanismi di fiducia e di speranza, indispensabili per affisdarsi realmente a specialisti e professionisti sanitari.

Ogni terapista, ogni medico, ogni persona che “lavora” con persone che manifestano dolore, dovrebbero tenere bene a mente lo sforzo che il soggetto sta compiendo. Il momento esatto in cui entrano nei nostri studi e nei nostri ambulatori, non coincide con il primo momento di percezione del dolore, nè tantomeno con la reale presa di coscienza dello stesso. Il dolore è presente da ben più tempo e sta progredendo inesorabilmente. L’affidarsi totalmente ad un soggetto differente da noi potrebbe anche causare stati di fragilità e di impotenza, e il terapista deve essere al corrente. Dovremmo ringraziare la persona che si affida a noi e diviene paziente (in tutti i sensi). E’ un momento delicato, nel quale la paura, il coraggio, la speranza e la fiducia giocano una partita a carte coperte. L’empatia è sicuramente il comune denominatore e la costituzione di un legame operatore-paziente forte potrà essere l’inizio di un percorso terapeutico vincente.

 

Vari tipi di dolore

Come ogni persona manifesta dolori differenti, così coesistono percezioni di dolore assolutamente indipendenti.

Abbiamo già visto come si possa distinguere un dolore acuto (a rapida insorgenza, solitamente di breve durata) da un dolore cronico (più duraturo nel tempo), distinguibili prevalentemente su base temporale. Esistono anche dolori che differiscono per la loro tipologia:

- Dolore Meccanico: derivante da movimenti o da limitazioni (es.: nell’artrosi il dolore meccanico è dato dal movimento);

- Dolore infiammatorio: legato a processi di natura infiammatoria, contraddistinti dalla presenza di segni tipici quali rubor, calor, tumor, dolor e functio lesa (rossore, calore, tumefazione, dolore e funzionalità limitata);

- Dolore Psicogeno: creato dalla psiche (dalla mente), senza che vi sia apparentemente nessun organo danneggiato;

- Dolore Nocicettivo: determinato dalla stimolazione dei nocicettori, ovvero fibre nervose presenti nei tessuti, da cui nasce il segnale dolorifico.

Inoltre, è fondamentale tenere ben presente che i dolori non differiscono esclusivamente per intensità e durata, ma anche per criteri di soggettività, come per esempio nazionalità, ambiente, estrazione socio-culturale ed esperienze pregresse dolorifiche.

Sembra impossibile? In uno studio scientifico sono state confrontate le reazioni al dolore di popolazioni differenti, in modo da valutarne le probabili differenze. I risultati hanno portato a conclusioni alquanto interessanti:

- Le popolazioni africane non hanno mostrato differenze significative in termini di riconoscimento dell’intensità del dolore cronico rispetto alla popolazione bianca, ma il loro stato emotivo e il disagio palesato sono stati nettamente più marcati, con reazioni e comportamenti più enfatizzati in risposta a stimolidolorifici;

- Individui dell’Europa del Nord hanno manifestato reazioni di quasi impassibilità (con scarsi segni reattivi emotivi) in riferimento a stimoli algici indotti, rispetto a soggetti dell’Europa meridionali, più reattivi vocalmente e con espressioni facciali esagerate.

Ecco come le tradizioni culturali e l’educazione possano contribuire nella rielaborazione e nella gestione del dolore.

Infine, è opportuno segnalare anche le profonde differenze tra uomini e donne, già da tempo palesate dalla “Medicina di genere”. Immagino sia semplice indovinare chi tra soggetti del gentil sesso e individui maschi alfa manifestino una maggior predisposizione alla gestione del dolore! Ovviamente le donne penserete. Progettate geneticamente per soffrire, sarebbero considerate le vincitrici indiscusse in un test di sopportazione del dolore. Purtroppo non è così! Da numerosi studi scientifici è emerso che le donne hanno una soglia del dolore più bassa rispetto all’uomo, sia per esperienze di dolore acuto che cronico. La giustificazione risiede primariamente nella complessità del sistema ormonale femminile. Resta dunque di primaria importanza la valutazione del soggetto sintomatico, da parte del terapista, in relazione a sesso, età, etnia, oltre che le già citate durata e intensità dei sintomi stessi.

 

Conclusioni (personali)

Siamo giunti alla conclusione di questo breve articolo. Ci tengo in particolare a sottolineare gli intenti che mi hanno mosso nella stesura di quanto sopra. Lavoro, studio e “gestisco” condizioni di dolore da ormai più di 10 anni e ciò che mi ha sempre affascinato è stata l’incredibile eterogeneità e multifattorialità dei racconti e delle emozioni riportate dai pazienti. La presa di coscienza del dolore e la conseguente volontà di ricercare una risoluzione (sia essa anche solo un sollievo momentaneo e palliativo) è un aspetto che ha richiami ancestrali, di sopravvivenza. In quel frangente si rivela tutta la nostra essenza di esseri umani e tutta la nostra urgenza.

Mi sono chiesto più volte, di fronte a pazienti con condizioni particolari, dove trovassero la forza di combattere e di cercare una soluzione, nonostante le numerose risposte negative ricevute in precedenza. Sicuramente la motivazione è un aspetto centrale; così come io ogni mattino mi alzo dal letto motivato e desideroso di aiutare a ritrovare una sorta di benessere tutti i miei pazienti, così ho capito la reale motivazione di ognuno di loro nel cercare una soluzione ai loro disturbi. E cos’è la motivazione se non una ricerca di equilibrio, in termine medico scientifico meglio conosciuto come “omeostasi”?

Osteopatia: perché?

Perché è naturale. Nulla di più naturale delle mani dell’Osteopata per ripristinare ciò che la natura ha stabilito, e cioè la mobilità delle strutture corporee e dunque la loro funzione. Ha basi scientifiche solide, non usa farmaci né altri strumenti. Mira alla causa e non solamente alla cessazione del sintomo, al benessere e all’equilibrio psico-fisico.Andrea Nitri

FAQ / Domande

Qual è il significato del termine Osteopatia?
Etimologicamente deriva dal greco oστέον (osteon) - osso, e πάθοσ (patos) - sofferenza. Questo termine nella sua essenza indica che sia la salute che la malattia dipendono dallo stato di efficienza dell'apparato locomotore. Osteopata, in lingua inglese (Osteo-path) indica colui che agisce terapeuticamente sul corpo umano attraverso "il sentiero" delle ossa. È comunque utile sfatare l'erronea opinione che l'osteopatia coinvolga soltanto le ossa, essa al contrario lavora su tutte le strutture del corpo: articolazioni, legamenti, muscoli, tendini, tessuto connettivo, e anche sugli organi e sul cranio con tecniche non invasive ed appropriate.
Quali sono i principali strumenti dell'Osteopata?
Le mani dell'Osteopata sono allenate a percepire le piccole variazioni che avvengono nei tessuti, raccogliendo così dati importanti sulla temperatura corporea locale (indice di infiammazione), e sulla loro consistenza; pertanto il principale strumento di lavoro è un buon lettino e la propria sensibilità. L'Osteopata non tocca necessariamente le parti dolenti del paziente, ma quelle che sono causa della disfunzione: così un mal di testa può essere trattato osteopaticamente agendo sulla cervicale, su una spalla, o persino trattando solo l'osso sacro.
Occorrono esami medici clinici per la valutazione osteopatica?
E' consigliabile, quando siano già stati fatti dal paziente, portare con sé al primo incontro raggi X, ecografia, TAC, risonanza magnetica, ecc., per ricercare eventuali controindicazioni al trattamento osteopatico. L’osteopata comunque, non essendo un medico, non può assolutamente prescrivere esami strumentali.
Che genere di tecniche vengono usate?
A seconda dell'età e della gravità del problema l'Osteopata applica le tecniche più adatte al caso, che comunque non sono dolorose o invasive per il paziente siano esse strutturali, craniali o viscerali.

Collaborazioni esterne

Dott.ssa Candeo Gabriela - Pediatra
Dott. Di Lenna Fabrizio - Farmacista
Dott. Braga Andrea - Ginecologo
Dott. Castelli Fabrizio - Odontoiatra
Mauro Magnone - Tecnico Posturometrico

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